Il Petrolio

 Il petrolio naturale o greggio è un liquido oleoso, più o meno denso, di odore sgradevole, di colore bruno, verde scuro o quasi nero, con rif essi azzurro-verdastri. Ha una massa volumica inferiore a quella dell’acqua, quindi può galleggiare. Si trova comunemente negli strati profondi della crosta terrestre, ma talvolta scaturisce spontaneamente dalle rocce o persino affiora alla superficie, formando piccoli laghi. Attualmente è la più importante risorsa energetica mondiale ed è anche la materia prima di base per l’industria petrolchimica, che ci fornisce prodotti come le materie plastiche, le fibre sintetiche, i concimi chimici. Chimicamente il petrolio greggio è formato da una miscela di idrocarburi. Il petrolio è il prodotto della trasformazione di organismi vegetali e animali, in seguito a complessi processi fisici e chimici svoltisi nel corso della lunghissima storia della Terra e che hanno portato alla formazione delle rocce sedimentarie

La ricerca petrolifera
Per trovare un giacimento bisogna sapere se il sottosuolo è costituito da rocce sedimentarie e se tra queste ve ne sono di quelle che possono contenere idrocarburi. Ma non è sufficiente: bisogna anche aver identificato una trappola ed averla localizzata con l’approssimazione di poche centinaia di metri nelle tre dimensioni dello spazio. Per trovare le trappole si usano diversi sistemi.
Il rilevamento aerofotografico è di grande aiuto perché mette in evidenza gli affioramenti rocciosi e ne indica la direzione e l’inclinazione. Si raccolgono poi campioni di terreno (carote), in superficie e in profondità, che vengono esaminati in laboratorio per scoprirne le caratteristiche. L’età dei diversi strati rocciosi è stabilita studiando i resti fossili che vi sono contenuti e misurandone la radioattività residua.
Dopo questi studi preliminari si passa ai controlli diretti, impiegando diversi sistemi di ricerca. Alcuni di questi metodi si basano sulla misura del magnetismo e della gravità della zona dove si effettua la ricerca: i vari tipi di roccia hanno magnetismo e densità diversi, e la loro misurazione consente di ottenere un primo modello orientativo sulla forma del sottosuolo. Molto più esatto è il metodo sismico a riflessione, I’unico che sia praticamente in grado di localizzare una trappola con sufficiente precisione.  Quando tutti gli esami preliminari hanno dato esito positivo, si procede allo scavo di un pozzo esplorativo. Quando il primo pozzo esplorativo dimostra la presenza di idrocarburi è di norma necessaria la perforazione di altri pozzi, per determinare con sufficiente precisione la consistenza del giacimento. La perforazione di un pozzo di petrolio è un’operazione complessa e costosa. Si innalzano le torri di trivellazione (in inglese: derrick), armature che devono sostenere la trivella, una specie di grosso trapano che porta sulla cima uno scalpello, detto sonda di trivellazione. Il movimento di rotazione viene trasmesso da un potente motore ad una tavola rotante, che a sua volta fa girare le aste cave della trivella. Man mano che lo scalpello avanza perforando le rocce, si aggiungono nuove aste alla trivella. Nelle aste cave circola una corrente di fango sotto pressione che ha lo scopo di raffreddare la sonda e di trasportare alla superficie i frammenti della roccia perforata. Man mano che il pozzo progredisce, viene rivestito con tubi di acciaio cementati alla roccia.
Quando il pozzo raggiunge la trappola petrolifera, gli idrocarburi che impregnano la roccia fuoriescono liberamente, spinti dalla pressione del gas o dell’acqua. Si toglie allora la sonda di trivellazione, si inserisce un tubo di acciaio forato e si fissa alla testa del pozzo un complesso di valvole, chiamato Albero di Natale per la sua forma, che regolano il flusso di petrolio. Soltanto una parte del petrolio, circa il 30%, viene estratta dal giacimento: la restante parte aderisce fortemente alla roccia e non può esserne staccata con i metodi normali. In alcuni pozzi la pressione esistente che determina la fuoriuscita del petrolio può diminuire: in questi casi vengono installate delle pompe d’estrazione.
Il petrolio grezzo estratto dal giacimento è immesso in grandi serbatoi di sedimentazione, dove si depositano i fanghi, i frammenti di roccia e l’acqua sospesi nel fluido.
Viene poi portato, attraverso apposite tubazioni dette oleodotti, direttamente alle raffinerie o, più spesso, a grandi centri di raccolta vicini ai porti di imbarco dove gigantesche navi petroliere lo caricano e lo trasportano alle raffinerie di destinazione. R

Gli oleodotti
Un oleodotto (in inglese: pipeline) è formato da grandi tubi di acciaio che possono raggiungere anche i 90 cm di diametro e la lunghezza di 10 m ciascuno, i quali, uniti tra loro, coprono distanze di centinaia di chilometri. La costruzione di un oleodotto è, perciò, molto costosa e anche la relativa manutenzione richiede una continua cura per preservarlo da guasti o perdite. Le tubazioni possono essere appoggiate sul terreno ma, generalmente, sono interrate. Durante la loro posa si devono spesso superare grandi difficoltà, quali l’attraversamento di montagne, di grandi corsi d’acqua, di deserti, di giungle o, al contrario, di zone intensamente popolate, cercando sempre di rispettare l’ambiente naturale. Il petrolio scorre nelle tubazioni spinto da apposite stazioni di pompaggio che ne assicurano la marcia regolare. Per mezzo di speciali dispositivi di controllo, in un medesimo oleodotto possono essere trasportati prodotti petroliferi di diverso tipo, o appartenenti a diverse società, senza che questi si mescolino tra loro. 

La raffinazione del petrolio
Il petrolio greggio è un miscuglio di numerosi idrocarburi, molto diversi tra loro per la composizione chimica. Le lavorazioni di separazione dei vari componenti avvengono in grandi complessi chiamati raffinerie. Il primo trattamento cui è sottoposto il petrolio greggio è la distillazione frazionata (in inglese: topping), che ha la finalità di produrre le diverse tipologie di idrocarburi da trasformare poi nei vari combustibili: gas di raff neria, benzine, kerosene, gasoli, oli pesanti, residuo. Gli idrocarburi ottenuti da questa prima distillazione non possono essere immediatamente utilizzati come combustibili, ma devono subire ulteriori processi di raff nazione per eliminarne le impurità e migliorarne le caratteristiche fisico-chimiche. Il residuo di topping viene nuovamente distillato entro torri a bassa pressione, a temperature inferiori a quelle precedenti, ed in questo modo si ottengono nuovi keroseni, gasoli ed oli lubrificanti. I residui di questa seconda distillazione costituiscono i bitumi, impiegati come impermeabilizzanti e, soprattutto, nella produzione di asfalto per la copertura delle strade. 

Gli impieghi del petrolio
L’olio combustibile, derivato dal petrolio, è utilizzato per produrre energia elettrica nelle centrali termoelettriche. In un altro tipo di centrale, detta a turbogas, si può bruciare gasolio o metano per far funzionare una turbina a gas, collegata ad un generatore di corrente elettrica. Nel settore dei trasporti, l’energia si ricava in massima parte dalle benzine, dal kerosene e dal gasolio, tutti prodotti che derivano dal petrolio. L’industria petrolchimica ci fornisce prodotti di largo consumo: materie plastiche, innanzitutto, e poi fibre sintetiche, detergenti, coloranti, concimi chimici, prodotti farmaceutici, ecc.

Le benzine
Le benzine sono il prodotto più conosciuto tra i derivati del petrolio: si ottengono dalla distillazione primaria e costituiscono all’incirca soltanto il 20% di tutti i prodotti del topping. Per produrre una maggiore quantità di benzina si trasformano una parte dei keroseni, dei gasoli e degli oli combustibili. Le benzine, infatti, sono formate da idrocarburi che hanno una molecola più semplice di quella, ad esempio, dei gasoli: è allora possibile ottenere benzine da un gasolio rompendo le molecole più grosse e complesse che costituiscono la struttura chimica del gasolio stesso con un processo detto cracking (da to crack = rompere). La rottura delle molecole avviene per opera delle alte temperature e di forti pressioni.  

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